In Auto da fé nessuno viene risparmiato. Nessuno. E’ un libro controverso, non adatto a molti, fa male, oscilla tra il nichilismo più nero e l’umanità più straziante. \nIn un mondo allucinante tanto quanto quello di Kafka, i personaggi vivono secondo una strana logica completamente coerente con la loro esistenza. In questo mondo, un personaggio può decidere di restare immobile per scacciare la presenza malevola e disturbante della moglie, e la sua decisione appare perfettamente logica e sensata. \nCanetti crea una specie di moderna morality play; la virtù umana sarebbe premiata, se solo nel libro se ne trovasse. L’autore stesso non suggerisce l’empatia verso il protagonista, Peter Kien. Anzi, ce lo raffigura come uno sfortunato esempio di intellettualismo ed egoismo nella peggiore delle maniere in cui lo si possa immaginare. Però non riusciamo a godere della sua caduta, della sua miseria fisica ed emotiva, tutt’altro. \nLa struttura del libro è tripartita: nella prima sezione, Una testa senza mondo, c’è tutta la cultura enciclopedica e la misantropia del professor Kien, sinologo proprietario di una biblioteca sterminata. I suoi libri sono il centro della sua casa, della sua giornata, del suo universo. Li conosce uno ad uno, li tratta come figli, sa a menadito dove si trovano e in che condizioni sono. Tutti i lettori ossessivo compulsivi – come me, d’altronde – si sentono un po’ Peter Kien a questo punto. Tutti quelli che più volte si sono chiusi (metaforicamente e non) dentro la lettura di un libro per sfuggire al mondo, sorridono. \nLentamente, una minaccia si insinua nella tana di Kien. E’ Therese, la donna assunta come governante perché ritenuta capace e professionale, ma soprattutto perché creduta interessata alla lettura. Si rivelerà l’antagonista di Kien, una donna gretta, meschina, miserabile. Una donna che vive in una dimensione tutta sua, dove il resto del mondo ha di lei l’immagine che lei vuole che abbia. Una donna rozza, stupida, ignorante, per cui i libri sono solo merce da monetizzare, una donna vanesia e perbenista, che si rende ridicola con le sue manie, le sue fissazioni, la sua gonna blu perfettamente inamidata e demodè. \nLa seconda parte, Un mondo senza testa, è tragica e crudele. Peter Kien viene cacciato di casa dalla serva e vaga nella Vienna più sordida e oscura, bistrattato, vittima di mille angherie, incompreso e incomprensibile. Le brutture dell’animo dei personaggi si riflettono anche sull’esteriorità; il protagonista è il nano ebreo Fischerle, assunto da Kien come segretario, che sogna di avere il passaporto americano, di diventare campione mondiale di scacchi e che gli si tagli la gobba. \nCulmina il romanzo nella terza parte, Il mondo nella testa, che dovrebbe unire i due universi e in cui il protagonista è Georges Kien, psichiatra a Parigi, fratello di Peter (Canetti aveva davvero un fratello psichiatra di nome Georges nella capitale francese). La catastrofe finale è inevitabile. \nI rapporti tra l’individuo e la società, tra uomo e donna, trattati con umorismo secco e lucido, preciso, feroce, canzonatorio sono il cuore dell’opera (l’unico romanzo scritto da Canetti). L’autore stesso sembra terrorizzato dall’assurdità e dall’inumanità che ognuno dei personaggi da lui descritti presenta; non c’è soluzione se non la distruzione dei libri, e quindi della verità stessa, nemmeno quando l’uomo cerca la sua immortalità nell’eternità della vita collettiva, del formicaio, nella più inumana collettivizzazione dell’individuo. La soluzione in quel caso è la distruzione collettiva. \nL’irrealtà che contraddistingue i comportamenti del sinologo si trasforma, durante il corso del romanzo, in surrealtà. Il grottesco diventa tenebroso quando Kien si addentra nella Vienna notturna e a lui ignota. \nAuto da fé è uno dei grandi romanzi del XX secolo. // Esemplare con fioriture e possibili macchie dovute ad azione del tempo. Segni di usura da scaffale. Chiedere maggiori fotografie per accertarsi dello stato di conservazione