LIBROEdizione originale in esemplare con autografo dell’autore e completo di occhietto e dedicatoria al KaiserCON AUTOGRAFO.Straordinario esemplare d’associazione: la copia del poeta e intellettuale Francesco Meriano (1896-1934), pregiata dalla dedica autografa dell’autore «All’eccellente poeta Meriano | con affetto | Dino Campana» vergata in elegante grafia con inchiostro bruno alla prima carta, l’occhiello con la scritta a stampa «Canti orfici». Esemplare appena scurito alla copertina, che è stata oggetto di interventi di restauro conservativo e di consolidamento sui bordi e sul dorso, come comune con questo tipo di edizione stampata su carta poverissima; l’interno è fresco e pulito, con i dettagli tipici del primo stato della tiratura: gli ultimi due fascicoli impressi su carta appena più corta degli altri, e l’errata corrige in ultima pagina. L’esemplare presenta le usuali “interpolazioni d’autore”, ed è stato così precisamente registrato nel censimento Maini-Scapecchi, dove sono ricostruiti per sommi capi anche i contatti tra i due intellettuali: «Frontespizio e dedica a Guglielmo II mancanti [pp. 3-6]; gli ultimi due fascicoli di altezza minore, Errata Corrige siglato S.C., il sottotitolo in quarta di copertina coperto da una strisciolina di carta viola […]. “Carissimo Campana, io ti ricordo sempre con affetto e mi piacerebbe sapermi ricordato da te. Eppoi, per mantenermi vicino al tuo spirito”, scrive Meriano il 28 febbraio 1915, “mi rileggo i Canti orfici e ti assicuro che si capiscono tante cose” (Lettere a un povero diavolo, p. 38). Meriano recensisce il libro su “Humanitas” del 22 agosto 1915 […]. Francesco Meriano, come mostrano la dedica e la lettera citata, fu in rapporto di grande affetto con Dino Campana, rapporto ribadito nella lettera a Cecchi del marzo 1916: “Gli unici amici in Italia sono Lei, quelli della Riviera [ligure] e Meriano uno studente di Bologna, bravo ragazzo che le garantisco sarà un poeta” (Lettere a un povero diavolo, p. 140). S’incontravano al caffè San Pietro di Bologna. Un’altra conferma viene dalla testimonianza di Montaleche alla fine del 1917 aveva conosciuto, “nella caserma della Pilotta a Parma, un gruppo di allievi ufficiali convinti campaniani: capogruppo riconosciuto era Francesco Meriano, già direttore della “Brigata” e amico di Binazzi” (Sulla poesia di Campana, in: Italia che scrive 25, set-ott 1942; poi in «Il secondo mestiere», 1996). È proprio a Meriano che Montale chiede dove sia possibile trovare i Canti orfici» (Maini e Scapecchi, p. 67). Altri risvolti dell’amicizia e collaborazione tra i due intellettuali si trovano descritti nel libro «I portici della poesia: Dino Campana a Bologna», curato nel 2002 da Marco Antonio Bazzocchi e Gabriel Cacho Millet. Non si possono tacere tuttavia le due presenze campaniane su «La Brigata», rispettivamente «Come delle torri d’acciaio» (incipit di «Domodossola 1915», con varianti, sul n. 7 del feb-mar 1917) e la «Lettera a Bino Binazzi» sul n. 12, ott-nov 1917.La prima e unica raccolta di poesie di Dino Campana ebbe una storia talmente tormentata da meritarsi la didascalia di «libro più drammatico del Novecento italiano» (Mughini, La collezione, p. 54): i continui rifiuti degli editori, la perdita del manoscritto «Il più lungo giorno» da parte di Ardengo Soffici, la travagliata stampa presso Ravagli, a spese dell’autore e di pochi amici contribuenti, la distribuzione a mano ai singoli compratori, da parte dello stesso Campana, e infine la distruzione di centinaia di copie, bruciate dai soldati inglesi in cerca di riparo dal freddo nell’inverno di Marradi. È dunque comprensibile come dell’edizione rimangano oggi solo pochi esemplari: l’ultimo, capillare censimento (Maini e Scapecchi 2014) ha registrato 111 copie presso collezioni pubbliche e private, confermando ipotesi già avanzate. -- Pubblicata nel giugno del 1914 a proprie spese, in seguito alla mancanza di interesse verso la raccolta mostrata dalla Firenze modernista al completo (dalla «Voce» di Prezzolini a «Lacerba» di Papini e Soffici passando per Vallecchi), l’edizione confezionata dal modestissimo tipografo marradese Ravagli è ben lungi dall’essere soddisfacente. Eppure, con tutti gli errori di stampa e le imperfezioni tipografiche (come l’utilizzo di carte di diversa misura a comporre fascicoli tra loro diseguali) la “princeps” dei «Canti orfici» rimane a oggi il testimone più affidabile dell’opera del poeta, nonché un libro dotato di un fascino addirittura leggendario, a cui già soggiacquero gli intellettuali della generazione appena successiva. «[…] non vorremo saperne di una migliore ristampa d[ei] Canti orfici», il «giallo volume stampato a Marradi nel 1914» «sommosso» da «vento di malattia e d[a] scampanio di parole», scriveva Eugenio Montale nel 1926 (“Il Quindicinale” 1:5, 15 marzo, p. 9). Sulla falsariga, chiosava definitivamente Sergio Solmi due anni dopo (La Fiera letteraria 4/35, 26 agosto 1928, pp. 1-s): «La rozza copertina color granturco, la grossolana carta d’almanacco su cui era composto, i frequenti errori di stampa, non costituivano forse, agli occhi del ricercatore di curiosità, la minore attrattiva dello strano volume [.]. Anche nella forma esteriore, dunque, esso portava le tracce dello squilibrio e della materiale miseria del suo autore: e gli squarci e i bagliori d’alta poesia che vi si rivelavano fin dalla prima fugace lettura non bastavano a togliergli ogni parentela con quella sorta d’opere reiette e diseredate, scritte da dolci maniaci di provincia, che l’anima curiosa e pietosa riesce talvolta a scoprire sui barroccini dei venditori ambulanti. L’aura di follia spirava attraverso le pagine del libro, illuminandovi panorami febbrili, gorghi di parole ossessionate e scampananti, assieme a riuscite mirabili, a colorite prospettive quasi sospese in un clima di musica soavissima e struggente, a invocazioni d’un disperato sapore umano. Quanti sono oggi a possedere questa prima edizione dei “Canti orfici”, ormai introvabile, di cui forse un giorno si parlerà come di quella leggendaria prima edizione della “Saison en enfer” che Rimbaud tentò di distruggere prima della sua fuga dall’Europa?».Campana, Canti orfici: edizione critica a c. di G. Grillo (Firenze 1990); Maini e Scapecchi, L’avventura dei Canti orfici (Firenze 2014); Castellano (cur.), Dino Campana: Canti orfici 1914-2014 (cat. della mostra Firenze 2014); D’Ambrosio, Contributo a una storia dei Canti orfici (PEML 5/I, 2020: 188-220)
Edizione: edizione originale in esemplare con autografo dell’autore e completo di occhietto e dedicatoria al kaiser