8vo, 2 volumi, br. ed. pp.465, 320. Da Puskin a Mandel'stam a Brodskij, la letteratura russa ha continuato a sognare, evocare, scoprire l'Italia. E nessuno meglio di Pavel Muratov - che vi giunge nel 1907, subito avvertendo un ´turbamento dello spirito, dolce fino al malessereª, e fra il 1911 e il 1912 pubblica, con enorme successo, ´Immagini dell'Italiaª - puÚ svelarci le ragioni di questa ´italomaniaª. A Venezia, spiega, ´noi beviamo il vino dell'oblio . Tutto quanto Ë rimasto alle nostre spalle, tutta la nostra vita precedente diviene un fardello leggeroª. E gli artefici del Rinascimento gli appaiono ´semideiª, ´eroi del mitoª, un antidoto all'´accidia della vita russaª, a Dostoevskij e Tolstoj. Non a caso nel 1923, invitato a Roma per una serie di conferenze, lascer‡ per sempre la Russia. ´Apparteneva a quella schiera di scrittori come Ruskin e Walter Pater,ª ricorda l'amico Sciltian ´e aveva pi˘ sensibilit‡ e talento di Berensonª. Ma non Ë la sconfinata cultura che apprezzavano Savinio e De Chirico, De Pisis e Longhi a rendere, ancor oggi, la lettura di Muratov una rivelazione. NÈ l'influsso di Pater, Stendhal e Gogol'. Semmai, il suo procedere per folgorazioni lungo un pellegrinaggio che diventa ´ricerca delle proprie radici spiritualiª (Petrowskaja); la sua capacit‡ di trasmetterci ´la vitaª delle opere d'arte; lo sfavillio delle ecfrasi e l'incanto di una lingua in virt˘ della quale una guida si trasforma in un ´libro poemaª; l'inclinazione a restituire atmosfere ed epoche attraverso la letteratura: da Casanova alla ´Divina Commediaª, da Gozzi a Webster, miracolosamente prossimo alla ´saggezza algida e scetticaª del Cinquecento. ´Immagini dellíItaliaª, ha scritto un amico di Muratov, Boris Zajcev, non Ë un manuale di storia dellíarte: piuttosto, ´un libro di iniziazione, di consacrazione allíItalia in quanto categoria dello spiritoª, sorretto da una ´capacit‡ virtuosistica di sentire líItaliaª ñ e, aggiungiamo, di restituirla in tono confidenziale al lettore, trasformato in interlocutore e compagno di viaggio. Ne abbiamo la prova soprattutto in questo secondo volume, dove Muratov riesce a comunicarci quel ´sentimento di Romaª, simile alla ´felicit‡ della giovinezzaª, che suscita la presenza vivente dellíantico: cosÏ, di fronte ai lauri ´quasi umaniª che crescono accanto alla Casina Farnese sul Palatino, abbiamo anche noi líimpressione che la metamorfosi di Dafne divenga comprensibile, e che torni a manifestarsi ´un mondo perduto di immagini per met‡ umane e per met‡ naturaliª. A Muratov infatti non importa tanto conoscere il passato, quanto stabilire con esso un contatto, sicchÈ gli sar‡ propizio, pi˘ dei Musei Vaticani o Capitolini dalla sconfortante e cimiteriale magnificenza, il Chiostro di Michelangelo alle Terme di Diocleziano, dove le ombre delle foglie e dei rami che scivolano sui marmi ´sono una sorta di ìtrait díunionî fra il nostro mondo e líantico, e la sola cosa che consenta al cuore di riconoscerlo e di credere nella sua vitalit‡ª. Si rivela per questa via la verit‡ segreta delle opere díarte, e da ultimo quella delle metope di Selinunte: il mito Ë ´rischiaramento del mondo, liberazione dellíessenza spirituale di ogni cosaª.