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Livres anciens et modernes

Svevo, Italo [Ettore, Schmitz]

Senilità

Libreria Editrice Ettore Vram (Tipografia Augusto Levi),, 1898

15000,00 €

Pontremoli srl Libreria Antiquaria

(MILANO, Italie)
Fermé jusqu'au 24 août 2025.

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Détails

Année
1898
Lieu d'édition
Trieste,
Auteur
Svevo, Italo [Ettore, Schmitz]
Pages
pp. 258 [2 bianche] impresse su carta semipatinata.
Éditeurs
Libreria Editrice Ettore Vram (Tipografia Augusto Levi),
Format
in 16°,
Edition
Edizione originale.
Thème
Narrativa Italiana dell' 800 Narrativa Italiana del '900
Description
legatura moderna di pregio in pieno marocchino blu notte (De Stefanis - Milano),
Premiére Edition
Oui

Description

LIBRO Edizione originale. Esemplare di eccezionale provenienza triestina, ottimamente documentata: la copia di Giorgio Gefter Wondrich (Zara 1875 - Trieste 1936), noto alle lettere particolarmente per la direzione del «Palvese», foglio letterario triestino pubblicato assieme alla moglie Estrella per tutto il 1907, sulle cui colonne, tra gli altri, esordì il giovane Saba (con lo pseudonimo di Umberto da Montereale). La rivista era distribuita dalla dalla “Libreria antica e moderna” del socialista Giuseppe Mayländer in via S. Nicolò, che diverrà proprio la libreria di Saba: è infatti nella storia della «Libreria del poeta Umberto Saba» di Stelio Vinci (Trieste 2008, pp. 19-20 e nota 2) che si trova menzione della vicenda, del Wondrich e delle relative notizie ottenute grazie a un’«intervista al nipote avvocato omonimo Giorgio Gefter Wondrich (Trieste 1936-2024), che ha avuto la gentilezza di farci ammirare la ricca biblioteca del nonno tra i cui volumi spicca una prima edizione del romanzo di Italo Svevo “Senilità”», ovvero esattamente il libro qui presentato, acquisito nel decennio successivo dal collezionista milanese Stelio Villani e da questi fatti rilegare presso De Stefanis in pieno marocchino blu notte; dal 2017 in una collezione privata milanese e ora nuovamente a disposizione. Esemplare fresco e pulito, con buoni margini (175 x 123 mm, un po' severo il taglio basso, vicino al testo ma senza perdite), con una firma d’appartenenza vergata in grande al frontespizio e il timbro in inchiopstro rosso dell’«Avvocato Dott. Giorgio Gefter Wondrich - Trieste - via Torre Bianca [.]» ribadito anche a pagina 3. Scriveva Roberto Bazlen all’amico Eugenio Montale in una lettera dell’1 settembre 1925: «Mi sono fatto dare da Italo Svevo, i suoi primi due libri […]. Il secondo, “Senilità”, è un vero capolavoro, e l’unico romanzo moderno che abbia l’Italia (pubblicato nel 1898!)». Tramite nella conoscenza montaliana del tanto geniale quanto fin lì ignorato scrittore triestino – con il poeta che avrebbe poi contribuito alla sua scoperta grazie al saggio «Omaggio a Italo Svevo» apparso sulla rivista milanese «L’Esame» nel dicembre dello stesso 1925 – Bazlen riassumeva con quella sentenza l’essenza di «Senilità», qui presentato in edizione originale. Apparsa a puntate sulle pagine di «L’Indipendente» tra il 15 giugno e il 16 settembre 1898, l’opera seconda di Svevo dopo «Una vita» venne pubblicata, come quest’ultima, a spese dell’autore presso la Libreria Editrice Ettore Vram (stampa del triestino Arrigo Levi) in una tiratura di 1000 esemplari non numerati. Ed esattamente come era accaduto per l’esordio, anche questo nuova prova fu accolta dall’indifferenza generale, attendendo per quasi tre decenni di essere, finalmente, notata e celebrata. A questo proposito avrebbe scritto con profonda ironia Svevo nella “Prefazione” alla seconda edizione di «Senilità», uscita nel 1927 ovvero quando, ormai sessantaseienne, il mondo letterario europeo si era finalmente accorto di lui: «Questo romanzo non ottenne una sola parola di lode o di biasimo dalla nostra critica. Forse contribuì al suo insuccesso la veste alquanto dimessa in cui si presentò. Altrimenti sarebbe difficile di spiegare tanto silenzio dopochè il romanzo “Una vita” da me pubblicato sei anni prima, e ch’era certamente inquinato da almeno altrettanti difetti, s’era saputo conquistare l’attenzione di parecchi critici, fra i quali Domenico Oliva che la espresse con parole abbastanza lusinghiere. Anzi fu la lode di un sì autorevole critico che m’incorò alla pubblicazione di questo secondo romanzo, il quale fu poi ignorato anche da lui, che pur certamente lo aveva ricevuto. Mi rassegnai ad un giudizio tanto unanime (non esiste un’unanimità più perfetta di quella del silenzio) e per 25 anni m’astenni dallo scrivere». Un lento e tardivo riconoscimento, dunque, giunto in prima battuta in Francia e poi in Italia dopo la pubblicazione, nel maggio del 1923, di «La coscienza di Zeno» da parte della bolognese Cappelli. Era stato James Joyce – conosciuto da Svevo nel 1907 quando l’autore dei «Dubliners» insegnava inglese alla Berlitz School of Languages di Trieste – a portare l’ultima (e finale) fatica dell’amico all’attenzione dei letterati francesi (a partire da Benjamin Crémieux e Valery Larbaud), con gli intellettuali riuniti intorno al milanese «Il Convegno» a stretto giro ricettivi (anche grazie a Prezzolini, in quel momento residente a Parigi) al genio dello scrittore triestino. E se, commemorando la sua morte avvenuta in un incidente stradale il 13 settembre 1928, «La Fiera Letteraria» avrebbe ricostruito la storia della “scoperta” di Svevo rivendicando il primato all’Italia – in un articolo reso celebre da un passaggio dei «Quaderni» gramsciani in cui il politico e filosofo antifascista definiva tale ricostruzione una «prosetta untuosa e gesuitesca» -, sugello di tale scoperta fu fuor di dubbio la recensione di Montale, con il poeta genovese affascinato da quel «poema della nostra complicata follia contemporanea» che era «La coscienza di Zeno» ma fatalmente attratto da «Senilità», tanto da impegnarsi attivamente nella ricerca di un editore per la sua ristampa (poi giunta, dopo molti rifiuti, per suo merito, con l’editore Morreale). A colpire Montale era il «tono superbo» del romanzo – così in una lettera a Giacomo Debenedetti datata 24 marzo 1926 – realizzato attraverso «un altro pregio […], e pare un paradosso: la sua mancanza di appigli praticistici e polemici, la sua secchezza, diremmo quasi la sua inutilità» (così in «Italo Svevo» pubblicato sul numero 9 del giugno 1926 di «L’Italia che scrive»). Cogliendo l’essenza del “Carnevale di Emilio” – questo il titolo inizialmente scelto per «Senilità» -, il suo ripiegamento sulla vita di un piccolo borghese (il protagonista Emilio Brentani) che accetta, per timore, una normale vita agiata, Montale caricava positivamente un aspetto che sarà invece, per molta critica del dopoguerra, uno dei limiti di un’opera stretta tra l’impianto sociologico di «Una vita» e la dirompente potenza di Zeno, in cui la malattia moderna viene attraversata per farla, attraverso di lui, deflagrare. E di tale difficile posizionamento del suo secondo romanzo nonché del prezioso riconoscimento ricevuto da Montale, Svevo scrisse nella già citate pagine introduttive alla seconda edizione: «Per tornare a “Senilità” debbo dire ch’essa da noi trovò un acuto e affettuoso critico in Eugenio Montale che pubblicò uno studio a me dedicato […]. È questo il mio miglior lavoro ed è vantaggioso per me che chi legge di Zeno abbia conosciuto il Brentani? Amerei di poterlo credere. Intanto, mio giovine e pensoso amico, grazie per tanto studio e tanto amore».
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