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Libri antichi e moderni

Da Fiore, Gioacchino (Florensis Ioachim).

Expositio Magni Prophete Abbatis Joachim in Apocalipsim. Opus illud celebre: Aurea: usque: ac preceteris longe altior et profundor explanatio in Apocalipsim Abbatis Joachim de statu universali reipublicae christianae. Eiusdem psalterium decem cordarum opus. Lectura item perlucida in Apocalipsim Reverendi magistri Philippi de Mantua Augustinianae.

2500,00 €

Botteghina D'arte Galleria Kúpros Studio Bibliografico

(Rosignano Solvay, Italia)
Chiusi per ferie fino al 06 Settembre 2025.

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Dettagli

Autore
Da Fiore, Gioacchino (Florensis Ioachim).
Soggetto
Religione - (Cinquecento)

Descrizione

Venezia, Bindoni Francesco e Pasini Matteo (e per l'erede Ottaviano Scoto), 1527 (al verso del penultimo foglio si legge: "Venetijs in Calcographia Francisci Bindoni & Maphei Pasyni Sociorum Impressum. Expensis vero heredum q. D. Octaviani Scoti civis Modoetiensis ac sociorum. Anno salutifere incarnationis M.D.xxvij. Die vero xvij. mensis Aprilis"). Volume in 4to, front. in rosso nero (quello della “Expositio Magni Prophete Abbatis Joachim in Apocalipsim”), racchiuso in cornice con fregi e figure, marca tipografica con stemma del dedicatario Cardinale Egidio Canisi (tre croci con monogramma F. E.). Da notare che il nome di Silvestro Meucci appare al recto del frontespizio, che ha funzione di breve descrizione testuale con riportate le note più rilevanti per l'edizione e dove, al secondo rigo dall'alto, si legge "Silvester Meuccius"; le pagine: segnatura A2 – DD2 con 32 fogli non numerati (ossia 63 pagine, compreso il foglio di questo primo front. e senza contare il foglio di guardia anteriore che è stato messo solo nel recente restauro della legatura ma che al volume manca in origine); secondo front. in rosso / nero, (quello dell' “Incipit epistola prologalis"), con la stessa marca tipografica ma, ai lati della stessa, rispetto ai due rettangoli vuoti al primo front., sono ora incisi i Santi Pietro e Paolo; le pagine: segnatura: A2 – OO2 con pp. 280 numerate (compreso il foglio di questo secondo front.); le pagine sono numerate al solo verso, il recto non riporta numerazione; a quella che sarebbe la pagina 225 (ma che non è numerata) nonché foglio F1 (non segnato), inizia, con un terzo frontespizio in b/n, racchiuso in cornice xilografica, il "Psalterium decem cordarum Abbatis Joachim. In quo de summa trinitate eiusque distinctione perpulchrae indagatur. De numero psalmon…" che riparte con la pagina 226 fino alla conclusione + 12 pagine n. n. (compresa la c. b. in fine, presente in origine). L’opera contempla moltissime xilografie e schemi esplicativi in b/n n., capolettera istoriati, il testo è latino su due colonne a buoni margini. Riepilogo della segnatura complessiva: A2 - DD2 / A2 -Z4 / AA-EE4 (in realtà questa ultima segnatura continua perché, con la pagina - frontespizio del “Psalterium decem cordarum.”, siamo a FF2) per cui FF2 – OO2 (l'ultima è la c. b.). Legatura originale in p. pergamena semifloscia con tit. ms. al dorso (legatura di recente restaurata solo per rincassare il corpo del testo al dorso, ma con inclusione del foglio di guardia al piatto anteriore, aggiunto su carta settecentesca; originale è invece quello del piatto posteriore), nome dell'Autore e titolo ms. al taglio inferiore delle pagine e in alto al dorso, sempre in forma contratta. Opera rara. Esemplare la cui legatura ha perso leggermente di spontaneità col recente intervento (doveroso e minimo), frontespizio con una antica cancellatura manoscritta. Nell’insieme esemplare fascinoso, completo e con una ottima impressione del testo e delle tavole, tutte in ottimo stato di conservazione. Il cardinale Egisto Canisio da Viterbo (vero nome Egidio Antonini, figlio di Antonio Canisio e di Maria del Testa, nacque a Canepina, presso Viterbo, nel 1472, e morì a Roma, il 12 novembre 1532). Nel 1488 entrò come frate nell'Ordine degli Eremitani di Sant'agostino; venne ordinato sacerdote e studiò filosofia, teologia e le lingue antiche (greco, ebraico, caldeo, persiano) presso le case del suo ordine ad Amelia, Padova, Firenze, Roma, e in Istria. L'agostiniano Silvestro Meucci pubblicò opere dell'abate e altre a lui attribuite: l’"Expositio in Apocalypsim", il "Liber Concordiae Novi ac Veteris testamenti", lo "Psalterium decem chordarum", il "Super Hieremiam", il "Super Prophetas" (ovvero il "Super Esaiam") e quant'altro egli fu in grado di reperire. Studi in materia hanno peraltro esaminato il criterio usato dai primi editori con le opere di Gioacchino: la mancanza di un apparato critico, le numerose omissioni, gli errori tipografici, il cattivo uso che in quel periodo si fece dei manoscritti (non è improbabile che alcuni siano stati distrutti o rovinati durante la stampa): tutto un insieme di fattori che ne rende assai discutibili i risultati. (Cfr: F. Russo, "Bibliografia gioachimita", Firenze, 1954, 37-39). Gioacchino Da Fiore, monaco cistercense, esegeta (Celico 1145 circa - San Giovanni in Fiore, secondo altre fonti Pietrafitta, 1202). Nel Cinquecento fu forte 1'interesse tributato a Venezia alle sue opere. Negli anni precedenti al 1527, il malcontento che da sempre agitava la cristianità, sembrò raggiungere il suo apice, si moltiplicarono gli allarmi per gli spaventosi prodigia del profeta e tornò a farsi vivo l'interesse nei suoi confronti. In corrispondenza col peggioramento della situazione politica italiana, crebbero i timori apocalittici riguardo alla distruzione della Curia e al dissolvimento degli stati. La minaccia tardo quattrocentesca dell’intervento militare straniero capovolse l’ottimistica attesa di una nuova “aurea aetas”, con la paura di un prossimo avvento dell’Anticristo, di un nemico escatologico e storico insieme. Il recupero gioachimista si spiega allora anche con la precarietà della situazione politica, associata a un crescente aumento della corruzione, soprattutto in ambiente ecclesiastico, nonché alla minaccia esterna rappresentata dall’avanzata turca e dal primo diffondersi della Riforma. (Cfr: C. Vasoli, "L’influenza di Gioacchino da Fiore sul profetismo italiano della fine del Quattrocento e del primo Cinquecento", in "Il profetismo gioachimista tra Quattrocento e Cinquecento", cit., pp. 61-85). Ecco che la Chiesa romana, non poteva che incorraggiare Gioacchino, suo valoroso difensore, le cui relazioni con essa sembra siano state sempre eccellenti. In questo contesto fu Lucio III che gli chiese di commentare l'"Apocalisse". .
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