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Libro

Quintilianus, Marcus Fabius (Quintiliano, Marco Fabio).

Declamationes cum Variorum Notis (M. Fab. Quintiliani Declamationes Undeviginti. M. Fabii Avi et Calpurnii Flacci Declamationes. Auctoris Incerti Dialogus De causis Corruptae Eloquentiae. Cum Variorum Notis) (e sotto si riporta Tomus II - forse un refuso di stampa). [con:] Institutiones Oratoriae (M. Fabii Quintiliani Institutionum Oratoriarum. Libri Duodecim. Summa diligentia ad fidem vetustissimorum codicum regogniti ac restituti. Accesserunt huic renovatae editioni. Declamationes, quae tam ex P. Pithoei, J. C. Clarissimi, quam aliorum Bibliothecis & editionibus colligi potuerunt. Cum Turnebi, Camerarii, Parei, Gronovii, & Aliorum Notis. Cum Indice locupletissimo, tam in Textum, quam Notas).

800,00 €

Botteghina D'arte Galleria Kúpros Studio Bibliografico (Rosignano Solvay, Italia)

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Dettagli

Autore
Quintilianus, Marcus Fabius (Quintiliano, Marco Fabio).
Soggetto
Letteratura classica e umanistica - (Classici latini)

Descrizione

Due tomi in due volumi in 8vo lungo (cm 12,5 x 20,5). Lugd. Batav. et Roterodami, Ex Officina Hackiana, 1665. Primo tomo, le “Declamationes”n: antip. finemente incisa a p. p. (“R. a Perlyn fe”.), front. con marca tipografica con aquila e motto “Movendo”, pp. 784 + 7 (Index) + 1 c. b.; Tomo secondo, le “Institutiones Oratoriae”: antip. finemente incisa a p. p., front. con marca tip. con aquila e motto “Movendo”, pp. (28) con Prefazione di Angelo Poliziano e Epistola Dedicatoria a D. Petro Castellano, 916 + 30 (Index) + 2 c. b. Entrambi i volumi hanno legature antiche in tutta pergamena rigida con titolo e numero del tomo ms. al dorso. Un usuale e fisiologico ingiallimento alle pagine ma esemplari in solida legatura, stampati su buona carta e con una buona impressione. Va premesso che la tradizione attribuisce a Quintiliano due raccolte di “Declamationes” (le 19 Maiores, di certa attribuzione all’Autore, ben dispiegate, i cui temi sono svolti completamente, e qui contenute nel tomo I insieme all’incerto dialogo “De Causis Corruptae Eloquentiae”; e le 338 Minores, delle quali solo 145 a noi pervenute, spesso in forma di bozza, e qui contenute nel secondo tomo insieme all’“Institutio Oratoria”); di queste solo alcune potrebbero risalire a Quintilano, mentre le altre, soprattutto le numerosissime “Minori”, furono certamente opera di scuola, probabilmente della scuola di Quintiliano stesso (si parla infatti di “Declamationes pseudo – quintilianee”). Qui proponiamo dunque due seicentine relative al più grande trattato di retorica dell'antichità romana, l’”Institutio Oratoria”, a ciò che è stato possibile ricostruire, il “De causis corruptae Eloquentiae”, e a ciò che ci resta delle altre opere di Quintiliano, le “Declamationes”. Marco Fabio Quintiliano ( 30 - 40 d. C.) fu maestro di retorica e ebbe tra i suoi allievi Plinio il Giovane. Non si conosce la data precisa della morte di Quintiliano ma è presumibile che sia di non molto posteriore alla fine dell’Età Flavia. Dopo venti anni di insegnamento decise di abbandonare l'incarico e si dedicò alla stesura di un dialogo in cui espose la propria posizione sulla crescente corruzione dell’arte dell'eloquenza. Quintiliano scrisse prima il trattato “De causis corruptae eloquentiae” e poi l’“Institutio oratoria”. Il “De causis corruptae eloquentiae” resta perduta e non avremmo potuto tentare di ricostruirne il contenuto se non per l’andamento di pensiero che l’autore manifesta nella sua opera maggiore, l’ “Instituitio oratoria”. Nel corso del I secolo d. C. si pose all’attenzione dei letterati latini il problema della “grande oratoria”, quella che aveva reso famosa l’Aula del Senato di Roma al tempo di Cicerone, ormai solo un ricordo del passato. Le posizioni dei letterati latini sulle ragioni della decadenza dell’eloquenza facevano capo a due basilari motivazioni: da un lato le scuole, che avevano perso la loro capacità di istruire per via della mancanza di insegnanti adeguati; di conseguenza il livello qualitativo da esse garantito era divenuto così basso che i giovani non erano più preparati come un tempo e dunque non potevano più competere con i modelli dei grandi maestri del passato. Dall’altro lato il contesto politico mutato: al tempo di Cicerone le decisioni importanti venivano assunte dal Senato dopo una discussione assembleare, in cui ciascuno doveva far valere la propria posizione sugli avversari. Invece, al tempo presente, le libertà repubblicane erano scomparse e tutte le più importanti decisioni venivano prese dall’imperatore e dalla sua corte; di conseguenza era venuta meno l’esigenza stessa di avere validi oratori. La prima linea di pensiero può essere ricondotta proprio a Quintiliano che infatti venne scelto dai Flavi per compiere quella che modernamente si potrebbe definire una riforma radicale della scuola statale (sistema scolastico, programmi, insegnamento, linee pedagogiche) e ciò è appunto testimoniato dall' “Institutio oratoria”. La seconda, invece, fa capo a Tacito e ne è prova il suo “Dialogo de Oratoribus”. L’“Institutio oratoria” fu composta tra il 90 e il 96 d. C. circa ed è un trattato diviso in dodici libri dedicato a Vittorio Marcello, famoso personaggio alla corte di Domiziano. Nel trattato confluiscono i frutti dell’esperienza di insegnante di Quintiliano ma anche la sua dottrina, in linea con il pensiero di Cicerone per ciò che attiene la concezione della retorica come scienza che deve formare il cittadino e l’uomo moralmente esemplare. Cicerone rappresenta per Quintiliano il culmine e il modello dell’oratoria romana e Quintiliano espone la “grande oratoria” dell’Aula del Senato di Roma, ormai dimenticata. In essa l’autore cita fonti greche e latine, discute le posizioni dei predecessori con pacatezza ed equilibrio di giudizio, imposta i problemi con chiarezza e svolge la trattazione in tono discorsivo. In questo senso l’ “Institutio oratoria” può essere considerata come summa della retorica antica, proprio perché può essere letta come una raccolta di materiale che conservava le acquisizioni della scienza e della tecnica della comunicazione e della persuasione, portando con sé chiare implicazioni rispetto alle condizioni storico - culturali in cui si colloca, in particolare rispetto a due problemi: la mutata funzione dell’oratore nella società civile e le nuove tendenze stilistiche. Ed ecco che entrambi i problemi sono da ricondurre alla corruzione dell’eloquenza e quindi alla sua decadenza, con cause in fattori di ordine tecnico e morale. Christian Matthias Theodor Mommsen (Garding, 1817 - Charlottenburg, 1903), storico, numismatico, giurista, epigrafista e filologo tedesco, generalmente considerato il più grande classicista del XIX secolo, ebbe a scrivere sull’ opera: “È una delle più eccellenti opere che possediamo dell’antichità romana, ispirata a buon gusto e retto giudizio, semplice nel senso e nella composizione, istruttiva senza pedanteria, attraente senza necessità di sforzo personale, in contrasto intenzion