In-8° (238x144mm), pp. (2), 216, brossura muta originale. Antiporta disegnata e incisa su rame da Gian Domenico Lorenzi (fratello dell'autore) con ritratto dell'Arciduca Ferdinando d'Austria (dedicatario dell'opera), frontespizio inciso su rame dal Lante da invenzione di Francesco Lorenzi, altro fratello dell'autore, con allegoria della Felicità. 15 testatine e finaletti istoriati incisi su rame raffiguranti scene agresti. Qualche alone ad alcune pagine interne che non compromette la leggibilità del testo. Buon esemplare. Prima edizione. Poema didascalico in 4 canti (uno per ciascuna stagione) in ottave di argomento georgico composto dal noto letterato ed ecclesiastico veneto (Mazzurega, Verona, 1732-ivi, 1822). 'L'opera, suddivisa in quattro canti di 150 ottave circa ciascuno, secondo la ripartizione per stagioni derivata da modelli come Virgilio e Alamanni, qui tuttavia invertite nella successione (L'inverno, La primavera, La state, L'autunno), si configura come un vero e proprio manuale in versi di impiego concreto nella pratica agricola attraverso un prospetto dettagliato e competente, quasi specialistico, di cure e occupazioni, sussidi e rimedi, risorse e insidie, da provvedere o da affrontare in quella particolarissima coltura. Si inseriva in una ricca fioritura di poesia sposata all'agronomia, nella quale si erano distinti veronesi autori di poemetti georgico-didascalici proliferati in quegli anni grazie anche alla diffusione delle dottrine fisiocratiche prontamente accolte in area veneta: Z. Betti (Il baco da seta, 1756), G.n B. Spolverini (La coltivazione del riso, 1758), A. Tirabosco (L'uccellagione, 1775) e L. Miniscalchi (Mororum libri, 1769, in esametri latini tradotti in italiano nel 1792 dal figlio Leonardo con il titolo La coltivazione dei gelsi). Il poemetto del Lorenzi, che nelle ultime stanze sembra preannunciare i toni elegiaci delle Poesie campestri di I. Pindemonte, si caratterizzava tuttavia per alcune significative novità rispetto alle consuetudini del genere: l'ottava rima in luogo dell'endecasillabo sciolto; la riduzione drastica del bagaglio mitologico; l'impiego abbondante di termini tecnici e scientifici di norma esclusi. Il successo fu notevole, anche per le due riedizioni (l'ultima, del 1810, passata attraverso un'ampia revisione linguistica per la quale il Lorenzi ricorse alla consulenza del purista e bibliofilo veronese don S. Fontana), e gratificato degli apprezzamenti di A. Cesari, V. Monti, P. Zajotti, A. Maffei (che in morte dedicherà al Lorenzi una Visione, Verona 1822) e più avanti di G. Leopardi, che ne ospitò due ottave nella sua Crestomazia italiana. La poesia (CLXXVIII). In un 'giudizio' pubblicato postumo, ma noto a Pindemonte che lo divulgò, G. Parini lo disse 'uno de' più nobili poemi della nostra lingua' e, pur rimarcando alcune 'costruzioni intralciate, urtantisi, equivoche, mancanti, irregolari', retaggio dell'esercizio di improvvisatore, e non poche mende linguistiche, pose addirittura il Lorenzi tra i pochi lirici contemporanei 'veri e degni d'essere agguagliati agli antichi' (G. Parini, Poesie e prose, con un'appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, a cura di L. Caretti, Milano-Napoli 1951, pp. 545-547).' (Mario Allegri in D.B.I., LXVI, 2007). Gamba, 2606. Lastri, 77. Re, Saggio Biblografia Georgica, 104: 'Alle bellezze poetiche unisce i precetti giustissimi ed alcune prescrizioni de' moderni georgici sono in questi canti espressi a meraviglia'. Morazzoni, 173: 'Grazioso volume'. Niccoli, p. 71. Manca a Lapiccirella, Illustrati veneziani e a Gasparrini Leporace, Il libro illustrato nel Settecento a Venezia.