Libros antiguos y modernos
CONCINA, Daniele (1687-1756)
Memorie storiche sopra l'uso della cioccolata in tempo di digiuno, esposte in una lettera a Monsig. Illustriss., e Reverendiss. Arcivescovo N.N
Simone Occhi, 1748
800,00 €
Govi Libreria Antiquaria
(Modena, Italia)
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Detalles
Descripción
First edition (reprinted in Lucca in 1749) of this treatise covering the history of chocolate and its use during Lent. Concina, a Dominican preacher and theologian from Udine, writes in response to an unidentified archbishop who had asked whether drinking a cup of chocolate during Lent constitutes a mortal sin (cf. Mario D'Angelo, (de) Concina Daniele, in: “Dizionario Biografico dei Friulani”, online).
“Il rigorismo filo-giansenista italiano reagisce al lassismo della casuistica italiana senza l'aggraziata ironia di Pascal, ma riproducendo, con segno opposto, la bizzarria degli avversari. Nel 1748, in particolare, Daniele Concina, controversista infaticabile e autore di una Theologia christiana dogmatico-moralis in cinquemila pagine (1749-1751), dà alle stampe una piccola perla di rigorismo italico, le Memorie storiche sopra l'uso della cioccolata in tempo di digiuno (1748). Nella Chiesa Cattolica si dibatteva di cioccolato, o meglio di cioccolata, almeno dal 1569, quando, secondo la tradizione, Pio V, avendo assaggiato per la prima volta la bevanda americana, e avendola trovata schifosa, aveva dichiarato che con essa non si rompeva il digiuno; in seguito, il celebre aforisma tomistico ‘liquidum non frangit jejunum', ‘i liquidi non rompono il digiuno', attestato da svariati autori cattolici, fu adottato dal gesuita Antonio Escobar y Mendoza al fine di permettere l'ingestione di cioccolato liquido durante il digiuno. Significativamente, tale soggetto era divenuto materia di morale religiosa in America prima che in Europa […] Tomaso Hurtado nel 1645 […] affermava l'esistenza di una bolla papale che avrebbe permesso l'ingestione di cioccolato durante il digiuno. In seguito, numerosi teologi europei alimentarono questa controversia fino a che, nel 1664, il cardinale Francesco Maria Brancaccio v'intervenne con l'opuscolo De chocolatis potu diatribe (Brancaccio 1664), ove il cioccolato è considerato bevanda per sé, e non soltanto per accidens, ed è dunque ammesso durante il digiuno, come l'acqua e il vino. Le Memorie di Daniele Concina s'inseriscono in questa serie testuale. Scritte in forma di risposta a un arcivescovo anonimo il quale si domandava se fosse vero che, durante la Quaresima, un predicatore avesse affermato che, chiunque beve una ‘chicchera di cioccolato', commette un peccato mortale e che poi tale predicatore, accusato di rigorismo, avesse ricusato, Concina vi proclama che, se uno straniero venisse in Italia, esclamerebbe che il rigorismo criticato dai cosiddetti benignisti è una chimera. Quindi propone un sonetto, in cui il cioccolato parla in prima persona delle sue traversie morali: ‘Colei son io che per l'antica essenza / Ebbi già col digiun sì fiere liti: / Che i maggiori Teologi smarriti / Non sanno a chi di noi dar la sentenza. // Studian del pari il gusto, e l'astinenza / Nella Scuola ambedue de i… / E dice l'un, che i liquidi assorbiti / Frangono, quando v'è l'incontinenza. // Per sedar l'altra i scrupoli consiglia, / Che sia rito civil dell'amicizia, / Se si prende talor senza vaniglia. // Questa tra l'innocenza, e la malizia / Dottrina media accorda a maraviglia / Il digiuno, la gola, e l'avarizia” (p. 20). Questo componimento, intriso di concettismo gongorista, meriterebbe un'analisi approfondita per il modo in cui si erge a valutazione metadiscorsiva del modo in cui la semiosfera religiosa italica reagisce patemicamente all'introduzione di un nuovo gusto. Ma si proceda oltre. Nella pars destruens del suo opuscolo, Concina mira a demolire le opinioni probabiliste favorevoli al cioccolato in tempo di digiuno, Tomaso Hurtado in primis. È interessante notare che la reazione patemica al cioccolato s'intreccia con quella cognitiva, riguardante la sua categorizzazione. Categorizzazione in qua