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Libros antiguos y modernos

Vesper. Rivista di architettura, arti e teoria-Journal of architecture, arts & theory. Vol. 11: Miserabilia

Quodlibet, 2024

17,10 € 18,00 €

Quodlibet

(Macerata, Italia)

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Detalles

Año de publicación
2024
ISBN
9788822922823
Páginas
216
Editores
Quodlibet
Formato
206×287×17
Materia
Teoria dell’architettura, Pubblicazioni seriali, periodici, abstract, indici
Conservación
Nuevo
Idiomas
Italiano, Inlgés
Encuadernación
Tapa blanda
Condiciones
Nuevo

Descripción

L’undicesimo numero di «Vesper» si intitola Miserabilia e vuole mettere a fuoco gli spazi e gli spettri della miseria nell’immaginario e nella realtà muovendo da due assunti: la rimozione dello spazio di esistenza della miseria nella realtà concreta e immateriale occidentale a favore di «misurabili condizioni di povertà»; la presenza nelle città di manufatti a testimonianza di un passato in cui la miseria era «materia» di governo e di progetto. La miseria nelle società occidentali è oggi un impensato e un irrappresentabile; risulta indicibile e invisibile, estromessa in un altrove storico, geografico, culturale. Eppure, in passato la miseria ha avuto ad esempio in Italia forme maestose, dalle scuole grandi veneziane agli alberghi dei poveri. Al monumento sono subentrate le architetture anonime dei centri di servizio o manufatti temporanei che rispondono a situazioni emergenziali. Se la monumentalità della miseria esprimeva un’estetica, l’architettura della povertà la rigetta in nome della funzionalità: oggi lo spazio della miseria risulta svuotato di fenomenologie, evidenze, qualità, quantità, dimensioni, estensioni, discorsi. La miseria è dunque una questione di spazio e di spazialità, nella realtà e nell’immaginario. Laddove la miseria non è rappresentata o rappresentabile, non svanisce affatto: nell’anonimato finisce piuttosto per essere interiorizzata, esprimendosi tutt’al più nella colpevolizzazione e nell’indebitamento, perfino nella criminalizzazione della povertà, a cui fa da contraltare l’immiserimento morale dei quartieri benestanti, sempre più isolati e chiusi al resto della città. Ne scaturisce una urbanità in stato permanente di crisi, dove lo spettro di una miseria ovunque incombente finisce per legittimare un’arte di governo dell’emergenza e della precarietà. Solo lo spazio «smisurato», scartato, dimenticato, persiste come ambito in cui la miseria può insediarsi, accamparsi, riconoscersi.
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