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Periódicos

MUSEO INTERNAZIONALE DELLE CERAMICHE IN FAENZA,1963[catalogo,arte,ceramica

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Descripción





MUSEO INTERNAZIONALE DELLE CERAMICHE IN FAENZA,
Stabilimento Grafico fratelli Lega, Faenza (RA) 1963,
prima edizione,
edizione numerata di 2.150 esemplari, esemplare n. 1870,
rilegatura in cartoncino rigido e tela,
sovraccoperta illustrata, 19,5x25,5 cm.,
pp. 50 + tavole non numerate,
selezione di opere di Giuseppe Liverani,
hanno contribuito per la pubblicazione;
la ceramica Stiftung di Basilea,
la civica Amministrazione di Faenza,
Il Monte di Credito su pegno e Cassa di Risparmio di Faenza,
il Credito Romagnolo, sede di Faenza,
testo in italiana, inglese, francese, tedesco,
peso: g.960

cod. 0190

CONDIZIONI DEL LIBRO: ottime,
strappetto alla sovraccoperta,
per il resto come nuovo




INDICE

Dedica .............pag. 7
Presentazione ..........» 9
Préface ...........» 13
Foreword ...........» 17
Zur Einfiihrung ..........» 21
Prologo ................» 25
Catalogo delle opere riprodotte . ......» 29
Tavole :
Mondo classico e Oriente prossimo ......tav. 1- 14
Antica Faenza . . . ........» 15 - 50
Italia antica . ..........» 51- 92
Popolaresca italiana ...........» 93- 99
Italia moderna ..........» 100-117
Nazioni europee .......... » 118- 102
Americhe . . .........» 163-171
Estremo Oriente ..........» 172-180


PRESENTAZIONE

Sono trascorsi dieci anni da quando, il 26 maggio 1953, quello spirito attivo e gentile,
quell' animatore, quel maestro che fu Gaetano Ballardini, ci ha lasciati. Discepoli e
continuatori da lui stesso designati a raccoglierne la pesante eredità, è parso a noi che
miglior memoria non se ne potesse fare ai cultori della sua e nostra disciplina, agli amici
del suo e nostro museo, che presentando una selezione di opere significative raccolte.

Con l'efficace linguaggio visivo, queste parleranno alla loro intelligenza ed al loro cuore
delle realizzazioni toccate negli otto anni dell'aspra sua fatica di ricostruttore, nei dieci
della solitaria nostra. Che non si potrebbe, poi, neppur suddividere, perché, come nel
periodo prebellico, per oltre un ventennio, egli ebbe amorevole e totale la nostra
collaborazione, così, completa e fiduciosa, di nuovo l'accolse grato quando, passato il
turchine e rientrati noi dalla dura prigionia, macerato dal dolore per la distruzione del
museo, ma non disfatto, con una fede ed un ardore insospettati in un fisico minato quale
già appariva il suo, intraprese la coraggiosa opera della ricostruzione.

È dunque una continuità di lavoro, quella che qui ricordiamo, continuità che risale al
lontano 1920, quando, assai giovani ancora ed inesperti, fummo sollecitati a dare
l'adesione alla nascente Scuola di Ceramica, che, ad opera di Ballardini e del Consiglio
Residente del Museo, con la collaborazione di insigni maestri avviava i corsi regolari
sotto la gestione dello Stato. Primi ad iscriverci allievi, a far credito all'iniziativa che
non era localmente senza avversioni, alla nostra fede corrispose la generosa fiducia di
Ballardini nelle nostre possibilità. Ebbe inizio in tal modo quella affettuosa unione fra
maestro e discepolo ancora sui banchi della scuola, che vide due menti e due cuori
tendere, sia pure con mezzi e contributi infinitamente diversi, ad un unico scopo: l'ac-
quisizione delle conoscenze dell'arte ceramica del passato e del presente; il graduale
formarsi e consolidarsi dell'istituto che ne raccoglieva le testimonianze. Il museo, infatti,
da Gaetano Ballardini fondato sin dall'anno 1908 con la collaborazione di un pugno di
uomini dell'arte conversi a Faenza da varie parti d'Italia, alla fine del 1919, quando vi
mettemmo piede per la prima volta, si raccoglieva tutto in un capannone solaio dell'ex
convento di San Maglorio suddiviso in tre sale per mezzo di fittizie pareti di tela
recanti ancora gli ornamenti con cui erano state allietate oltre due lustri avanti,
nell'occasione della Esposizione Torricelliana.

La prima di queste sale ospitava la collezione
Ercole Alberghi di ceramiche orientali ed italiane, con molte eterogenee appendici,
collezione proprio in quel tempo entrata a far parte del museo per generoso atto del
raccoglitore allora, e per una decina d'anni ancora, vivente; una seconda, le ceramiche
moderne italiane ed estere; una terza, testimonianze delle antiche maioliche faentine sino
a tutto il secolo XIX. In una salettina bassa laterale si scorgevano, inoltre, appesi con
sottile filo di ferro, molte centinaia di frammenti di antiche maioliche tratti dagli scavi
locali. Era la grande novità del museo: la considerazione del frammento, dei suoi
valori didattico-documentari, che rompeva con la tradizione aulica seguita nei musei
pubblici, di degnar d'attenzione soltanto gli esemplari integri. Era la realizzazione pratica
del principio affermato da Federigo Argnani nei suoi coraggiosi volumi sulla maiolica
faentina, l'ultimo dei quali aveva veduto la luce nell'allora non lontano anno 1903.

Era la testimonianza di una continuità del culto dell'arte locale, che da Luigi Frati,
bolognese, e Carlo Malagola, ravennate, attraverso Federigo Argnani si trasmetteva a
Gaetano Ballardini. Nel piccolo atrio, con alcune fotografie di patroni e studiosi,
il nucleo iniziale della biblioteca.
Gradualmente, si ampliarono le mostre e, conseguentemente, i locali; vennero allargate
le iniziative anche con la istituzione dei Corsi Estivi di Storia e di Tecnica della
Ceramica, inaugurati da Giovanni Gentile l'anno 1928, corsi che continuarono sotto gli
auspici dell'Istituto Interuniversitario Italiano poi dell'Istituto per le Relazioni Culturali
con l'Estero, sino allo scoppio della guerra; fu creata la Fototeca della Ceramica, dalla
quale poterono poi trarsi i primi due volumi del Corpus della Maiolica italiana coi capi
datati sino al 1535, venuti alla luce presso la Libreria dello Stato negli anni 1933 e
1938; fu costituito, anche per l'aiuto dato da Carlo Grigioni, il Corpus Chartarum ad
historiam maiolicae pertinentium; vennero avviati, in collaborazione con PENFAPJ di
Roma, i Concorsi Nazionali della Ceramica, appendice ai Corsi estivi, mentre la Scuola,
riconosciuta nel 1938 col grado di Istituto d'Arte per la Ceramica, si era venuta
sviluppando di vita propria ed articolando nei diversi rami e servizi.

Al momento della chiusura e del collocamento a rifugio delle collezioni per l'intensificarsi
delle offese belliche, l'anno 1942, le sezioni erano così distribuite: Cimeli della preistoria,
dell'Oriente antico e del Mondo classico; Oriente prossimo, mondo islamico; Retrospettiva
italiana; Didattica della maiolica italiana; « Ottocento »; Moderna italiana; Mostra delle
nazioni (40 Paesi rappresentati); Ceramiche popolari italiane ed estere; Estremo oriente;
Terrecotte ornamentali; Mostre speciali (calchi, cimeli di interesse tecnologico, falsi, ecc.);
Biblioteca specializzata; Fototeca della ceramica; Archivio di documenti pertinenti alla
storia della ceramica.

L'edificio distrutto nel pesante bombardamento aereo del 13 maggio 1944, le
collezioni, la biblioteca, la fototeca e l'archivio annientati nei saccheggi, bombardamenti ed
incendi posteriori, durati sino ai primi mesi del 1945, al nostro rientro in Patria
trovammo, del Museo, una sola rovina.
Pur depresso nel fisico e nel morale, paziente e tenace, Ballardini aveva già steso
l'ordito della ricostruzione, offrendo un esempio di fede che gli valse le simpatie di un
gruppo di concittadini chiamati a costituire il nuovo Consiglio Residente.
Con unanimità di sentimenti, questi gli portarono l'adesione delle correnti politiche rappresentate
nel Comitato di Liberazione. Insigni amici e studiosi da ogni parte d'Italia e
dell'estero confortarono l'impresa, per la quale Gaetano Ballardini, chiara indicazione
dell'animo suo, trasse da Paolo di Tarso l'insegna « In spe contra spem ».
Le risposte agli appelli furono commoventi. Se la guerra, con le sue rovine, ha mostrato
sino a quali abissi di aberrazione può scendere l'uomo, la ricostruzione del Museo ha,
per contro, offerto una tangibile, commovente prova di quanto possa la solidarietà
fra uomini di buona volontà, animati da un principio ideale dal quale esuli l'interesse
egoistico.

Col marzo del 1946 la rivista riprese a portare in ogni contrada la voce di Faenza
risorta; nel dicembre 1946 furono iniziati i lavori di ricostruzione dell'edificio sull'area
medesima del vecchio museo; il 21 settembre 1947, ospitata nell'aula magna
dell'Istituto d'Arte per la Ceramica, si aprì la prima mostra delle rinnovate collezioni; il
4 novembre 1949, ancora l'opera edilizia in corso, furono aperte al pubblico le prime sale.
Il 26 maggio 1953, quando il grande cuore di Gaetano Ballardini cessava di battere,
si era appena messa a punto la nuova Sala delle Nazioni e rimaneva da completare
l'edificio nell'esterno ancora grezzo. Lo stato delle collezioni e delle attreZZ^ure era il
seguente: 24 sale di esposizione e di servizio, coprenti un'area di circa 2400 mq.; 6045
capi raccolti e portati ad inventario; 9877 opere in biblioteca; 7851 fotografie nella
fototeca; 8 annate della rivista « Faenza »; 8 volumi di reperti di archivio per il Corpus
Chartarum accompagnati da 13 volumi a schede per la consultazione.

Al compito di continuarne l'opera, cui fummo subito chiamati dalla Civica
Amministrazione e dal Consiglio Residente, ci accingemmo non senza trepidazione. Succedere
a tanto maestro appariva impresa da far tremare le vene e i polsi e dobbiamo esser grati
della fiducia che, negli ambienti artistici e di produzione ed in quelli di studio entro
e fuori i confini, ci venne allora generosamente anticipata ed, in seguito, mantenuta e
confermata. Attanagliati come sempre dalle difficoltà economiche, non contando il
Museo, Ente Morale, su di un bilancio costante, assicurato da istituti tenuti a provvedere
alla sua vita; non operanti o rese quasi nulle per vicende belliche le pur generose
disposizioni testamentarie di Paolo Galli e Gioacchino Regoli, che avevano inteso dotarlo
di un patrimonio che lo ponesse in grado di far fronte, almeno parzialmente, alle sue
necessità, ci caricammo del peso, ancora una volta obbedienti alla volontà espressa dal
fondatore.

Non è stata fatica lieve, né priva di amarezze. Sembra però, a noi,
che il consuntivo del primo decennio dalla scomparsa, col quale concludiamo questa
scarna presentazione, possa esserci di qualche conforto: l'interesse verso il museo e
l'opera sua sempre vivo e crescente; la rivista, agile ed aggiornata, con questo volume
arricchita di undici nuove annualità; la « Piccola Biblioteca del Museo » tenuta viva con
l'aggiunta di un nuovo volume, mentre altre sei pubblicazioni fuori delle serie
dell'Istituto — non per questo meno sue — alcune di notevolissima mole, altre di felicissima
diffusione, hanno richiesto le nostre cure; la biblioteca portata a 18446 numeri
d'inventario; la fototeca a 10518 numeri; le collezioni, per la generosa assistenza di Enti
e di Amici del museo in patria e fuori, verso i quali sentiamo la più viva gratitudine,
e per la più attenta sorveglianza degli sterri locali con la raccolta del materiale resa
possibile dalla amorevole collaborazione del personale che sopperisce con la volontà alla
grave carenza numerica, portate alla consistenza di 13527 capi, cui vanno aggiunti, coi
complessi di frammenti non ancora catalogati nei depositi, 5187 numeri dei circa 6000
recuperi delle vecchie collezioni, recuperi che si stanno ancora riportando ad inventario
ad opera di Melisanda Lama, preziosa nostra collaboratrice; la conduzione tecnica dei
Concorsi Nazionali ed Internazionali della Ceramica d'arte banditi dalla civica
comunità e portati al ventunesimo anno con assidua, disinteressata partecipazione; l'opera di
registrazione e di schedatura di libri, fotografie, cimeli; l'insegnamento, infine, ai
giovani dell'Istituto d'Arte, dei rudimenti della propria arte sotto l'aspetto storico e
stilistico, per consolidarne la formazione attraverso la conoscenza degli sviluppi e l'analisi
delle strutture formali e coloristiche.

Questo fervore di opera, questo consolante allargamento nella consistenza delle collezioni,
ha reso necessaria e non più dilazionabile la liberazione, lodevolmente attuata dalla
Civica Amministrazione, dei locali al piano terreno, locali che raddoppiano quasi lo
spazio destinato alle mostre e che speriamo poter rapidamente attrezzare per accogliervi,
riorganizzate, le sezioni moderne. Si ridarà, in tal modo, equilibrio e respiro alle
vecchie sale, che, sotto la spinta delle accessioni, fra le quali merita di essere citato il
legato del Marchese Paolo Mereghi, si sono venute sovraccaricando.
Il giorno, che confidiamo non lontano, nel quale potremo consegnare il Museo
riordinato al mondo degli artisti, dei produttori, dei cultori dell'arte nostra, ci sembrerà di
aver toccato una tappa basilare del suo cammino, di aver adempiuto all'invito del
Maestro che qui vogliamo ricordare.






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