In-16° grande, pp. 99, (4), brossura editoriale rossa con piccola vignetta. Alcune tavv. in b.n. f.t. (una all'antiporta). Perfetto esemplare protetto da velina. Ristampa postuma (2° migliaio) di questa raccolta di versi del discepolo prediletto di Giosue Carducci, Severino Ferrari (Alberino, Bologna,1856-Collegigliato, Pistoia, 1905). 'Poemetto satirico pubblicato nel 1884. Al poemetto, che porta il sottotitolo di 'Arcane fantasie', sono premesse, con garbato vezzo letterario, alcune 'Rime di eccellenti poeti all'autore', come usava ai vecchi e bei tempi delle nostre lettere: una nota lirica del Carducci, 'O Severino, de' tuoi canti il nido', inserita nella raccolta delle 'Rime nuove'; una lirica del Marradi e una di Marco Balossardi, ossia Olindo Guerrini. Il poemetto canta in otto brevi canti di quartine 'sfringuellanti, pazze di luna', la fantastica caccia condotta al lume di luna da un Mago circondato da fidi levrieri, contro alcuni animali e fiere che egli ha in odio e di cui vuole liberare la sua terra. Lo spunto è tratto dall'Atta Troll' di Heinrich Heine, che Giuseppe Chiarini aveva tradotto in italiano nel 1877 (si noti che il primo canto del 'Mago' è del 1877), ma svolto con una levità di stampo ariostesco. Si tratta di un'allegoria, poiché nei termini bizzarri e grotteschi di questa caccia il poeta svolge una sapida satira contro movimenti e personaggi del mondo letterario contemporaneo. Il mago è Ugo Brilli, carducciano ferventissimo, e i levrieri sono i 'nuovi goliardi', ossia quel gruppo di poeti e letterati che facevano capo al Carducci o ne godevano le simpatie. Nel poemetto sono successivamente presi di mira i manzoniani e la loro affettazione toscaneggiante, i moderati lombardi del 'Corriere della Sera', della 'Perseveranza' e della 'Illustrazione', il De Amicis, Leone Fortis, il Rapisardi, le sdolcinature del gusto borghese, la vecchia critica pedantesca e via dicendo. (.) La decifrazione dei vari simboli arresta e appesantisce, spesso, la lettura; ma tale difetto è ampiamente compensato dal sapido e bizzarro virtuosismo figurativo, dalla fluente morbidezza musicale e da note di poesia trepida e delicata' (Daniele Mattalìa in Diz. Bompiani d. Opere, IV pp. 500-501). Poeta, filologo e critico letterario, il Ferrari redasse col Carducci un memorabile commento al Petrarca e fu fraterno amico di Giovanni Pascoli, che lo evoca nella celebre poesia 'Romagna' ('Sempre un villaggio, sempre una campagna / mi ride al cuore (o piange), o Severino'). Assai forte fu anche, nella poesia del Ferrari, la suggestione della lirica pascoliana, soprattutto delle 'Myricae'.