Details
Year of publication
1902-1903
Place of printing
Firenze,
Pages
pp. [4] 129 [5 di errata e sommario]; 65 [7 comprendenti l’ultima sezione, «Il riflesso», e il sommario].
Publishers
[«Le primavere»] Tipografia Elzeviriana, [«L’autunno»:] coi tipi di E. Ducci,
Keyword
Narrativa Italiana del '900
Binding description
legatura d’epoca in mezza tela bordeaux con angoli; piatti in carta decorata in nero e bianco su fondo rosso; tassello in marocchino rosso con titolo in oro sul dorso (solo «Primavere»);
Description
LIBROEdizioni originali.Più che buon esemplare in modesta legatura d’epoca (non presenti le copertine originali), lievemente smarginato e con le carte uniformemente brunite; qualche occasionale lieve gora marginale, ma complessivamente pulito.Le rarissime opere d’esordio di Marino Moretti impresse a proprie spese, qui presentate riunite in un unico volume con legatura d’epoca. Insieme alla raccolta di novelle del 1902 «Le Primavere», questo straordinario documento conserva infatti la silloge poetica «L’Autunno della Vergine», comparsa nel 1903 come ultima parte del trittico completato dalle plaquettes – pubblicate nello stesso anno e sempre per i tipi di Eduardo Ducci - «Il Poema di un’Armonia» e «La Sorgente della Pace». Risalenti al periodo in cui Moretti, allora appena diciottenne, frequentava la Scuola di Recitazione “Tomasso Salvini” di Firenze diretta da Luigi Rasi (luogo in cui sarebbe nata la fraterna amicizia con Aldo Palazzeschi), questi scritti giovanili rimasero a lungo ignoti alla critica, con l’effettiva esistenza di «L’Autunno della Vergine» messa in discussione fino alla fine degli anni Settanta (Cfr. Gambetti-Vezzosi, «Rarità bibliografiche del Novecento italiano», p. 574). Un oblio comprensibile, se si considera la disaffezione dello stesso Moretti per quelle prove letterarie inaugurali ancora tanto influenzato dal primo magistero di D’Annunzio e non ancora pienamente segnate dall’incontro con la poesia di Pascoli. Scrisse a questo proposito l’autore romagnolo nel romanzo autobiografico «Via Laura» (Treves, 1931), riprendendo un ricordo collocabile all’altezza del 1902: «Fu poco dopo, a Firenze, ch’io sentii fare il nome del Pascoli da qualcuno che non amava affatto il D’Annunzio […]. Ma io che credevo il mondo ormai tutto soggetto alla vecchia villa toscana non potevo ammettere nulla, al di là del dannunzianesimo, che non fosse meschino e un po’ goffo, della stessa goffaggine delle rime tronche, dei vecchi metri cantanti, da libretto d’opera: e lì per lì meschino e un po’ goffo mi parve anche il nome di Pascoli in confronto al nome fin troppo bello che dava l’idea dell’arcangelo» (p. 75). Una percezione destinata a cambiare, quella su Pascoli, e a trasformarsi anzi in una “conversione” pascoliana, ben visibile nelle sue successive raccolte poetiche, a partire da «Fraternità» (Sandron, 1905) fino alle notissime «Poesie scritte col lapis» e «Poesie di tutti i giorni» (Ricciardi, 1910 e 1911).
Edizione: edizioni originali.