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Prints

LAFRERI Antonio

IMP. CAES. FL. CONSTANTINO. MAXIMO.

1550

1000.00 €

Antiquarius Libreria

(Roma, Italy)

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Details

Year of publication
1550
Size
435x340
Engravers
LAFRERI Antonio

Description

Bulino, 1550 circa, privo di data e firma. Incisione attribuita a Nicolas Beatrizet (cfr. Bianchi, Catalogo dell’opera incisa di Nicola Beatrizet, D 31). Esemplare nel primo stato di tre (cfr. Rubach, n. 272) o primo di quattro (cfr. Alberti n. 45), avanti l'indirizzo di Antonio Lafreri in basso al centro. Deriva dall'incisione attribuita ad Agostino Veneziano per i tipi di Antonio Salamanca. Magnifica prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana “castello con base rettangolare” (simile a Woodward nn. 154-155), con margini, tracce di piega di stampa trasversale, per il resto in eccellente stato di conservazione. Iscrizione in alto al centro: "IMP. CAES. FL. CONSTANTINO. MAXIMO. / P. F. AVGVSTO. S. P. Q. R. / QVOD INSTINCTV DIVINITATIS MENTIS / MAGNITVDINE CVM EXERCITV SVO / TAM DE TYRANNO QVAM DE OMNI EIVS / FACTIONE VNO TEMPORE IVSTIS / REMPVBLICAM VLTVS EST ARMIS / ARCVM TRIVMPHIS INSIGNEM DICAVIT". L’arco fu eretto fra il 312 e il 315 per celebrare la vittoria di Costantino su Massenzio nella decisiva battaglia di ponte Milvio. È da ricordare che la costruzione di un arco onorario, come monumento ufficiale per conferire gli onori alla persona del Princeps o dei membri della sua domus, era esclusiva competenza del Senato romano. Sebastiano Serlio, contemporaneo degli incisori della bottega del Lafréry, così descrive l’arco e le sue reali condizioni nel Cinquecento: «Appresso l’amphitheatro di Roma detto dal uulgo il Coliseo è un bellissimo arco molto ricco di ornamenti, e di statue, e d’historie diuerse, e fu dedicato a Constantino, e uulgarmente si chiama l’arco di Trasi. Questo bell’arco, ancora che al presente sia sepolto in gran parte per le ruine, & accrescimento di terreno; nientedimanco egli è di grande altezza, & i suoi transiti trapassano l’altezza di due quadri, e massimamente quei dalle bande. Quest’arco è bellissimo all’occhio, e molto ricco di ornamenti e d’intagli: bene è il uero che li corniciamenti non sono di molto bella maniera, quantunque siano ricchi d’intagli […]. Fu misurato col palmo antico Romano, cioè a palmo & a minuti». Ovviamente la rappresentazione grafica riflette le misurazioni dell’epoca: «Nonostante la differenza di modi, anche Serlio, come Lafréry, non fornisce rilievi esatti, in questo caso gli archi antichi, nonostante che nel testo ad accompagnare le figure vi siano misurazioni in apparenza certe» (cfr. Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento). L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. La lastra figura nell'Indice del Lafreri al n. 190, descritta come Arco di Costantino. Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick v.